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febbraio 15, 2011

Ranieri alla sbarra: è rimasto solo, il fallimento in dieci punti


di di Ugo Trani

ROMA - Fuori e distante dalla zona Champions, lontanissima dal Milan capolista, la Roma esce con largo anticipo dalla corsa scudetto e rischia di restar fuori dall’Europa nella prossima stagione. Mercoledì si presenta all’Olimpico lo Shakhtar Donetsk, per la sfida d’andata degli ottavi del trofeo più prestigioso del nostro continente: non si sa se l’appuntamento ravvicinato, dopo il crollo contro il Napoli, sia un bene o un male, anche tenendo conto del clima di contestazione e di rassegnazione.

Ranieri, per il fallimento in campionato, certificato dalla classifica, diventa automaticamente il primo responsabile. Sfiduciato dal gruppo, è in bilico. Nessuno, però, può dire se si gioca il posto in questa settimana, tra la gara di coppa e la trasferta di Marassi contro il Genoa. Anche perché non c’è nessuno che, in piena trattativa per la cessione del club dalla famiglia Sensi al gruppo DiBenedetto, può intervenire per dare una scossa. Non è l’equivoco di oggi, ma di tutta la stagione e non riguarda solo l’allenatore che, nessuno lo può più negare, ha gravi responsabilità della crisi di questi giorni e che sintetizziamo in dieci punti.

1) Mancanza di identità tattica. La Roma non solo non gioca bene, non sa come gioca. Improvvisazione totale, come dimostrano i tanti sistemi utilizzati: 4-4-2, 4-2-3-1, 4-3-1-2, 4-3-3, 3-5-2 e 4-1-4-1. Nessuno può dire quale sia l’assetto scelto e migliore. Non ne sono a conoscenza i giocatori e, a questo punto, nemmeno il tecnico che, nelle 25 gare di campionato, ha schierato 25 formazioni diverse. Senza un’impronta, è normale sbagliare contro le piccole. Contro le grandi, lasciando il pallino agli avversari, si può in alcuni casi svoltare la giornata. Senza organizzazione, però, una squadra non sarà mai competitiva. La fragilità psicologica dei calciatori è dovuta alle poche certezze. Monta il nervosimo: già 7 espulsioni.

2) Niente addestramenti quotidiani. Ignorati gli schemi offensivi: secondo Ranieri, e già dall’anno scorso, basta avere buoni giocatori per far gol. Ma non è così. Il minimo lavoro con i difensori fatto a Trigoria, poi, non paga: già 32 reti incassate. Snobbati i giovani, per primi Rosi e Guglielmo Burdisso: non si fa niente per farli crescere.

3) Preparazione atletica insufficiente. Ogni avversaria sta fisicamente meglio della Roma. Che vince alcune gare con la forza di volontà o puntando sulla carica nervosa o sull’orgoglio. «Sa farla anche un verduraio», la provocazione di Ranieri, sulla preparazione, di qualche mese fa. Sconfessando anche chi se ne occupa e che fa parte del suo staff.

4) Zero dialogo con i giocatori. Ranieri quasi mai chiarisce loro come mai restano fuori in una partita. Preferisce non informarli. E non gli spiega perché cambia sistema di gioco, magari all’ultimo momento, dopo averne provato uno differente durante tutta la settimana.

5) Scelte incomprensibili, anche per il suo staff. Ranieri ricorda solo i cambi azzeccati, mettendosi medaglie sulla giacca dlla tuta giallorossa. Dirigenti e giocatori, però, non capiscono i suoi interventi in corsa. In più di una partita letali. Ormai non coinvolge più nemmeno i suoi collaboratori, i primi a essere disorientati. Damiano voleva andarsene e oggi ancora non sa spiegarsi perché l’allenatore non lo abbia lasciato libero.

6) La crisi del secondo anno. Come alla Juve, il tecnico con la Roma sta ripetendo i buoni risultati della stagione precedente. Dall’ottobre 2009 la Roma non perdeva due gare di campionato di fila (furono addirittura tre) A Torino, preoccupati di non entrare in Champions, lo esonerarono a due giornate dalla fine. Qui si è salvato per il vuoto societario e per la qualificazione agli ottavi di Champions (le semifinali di Coppa Italia le ha conquistate da poco).

7) Rottura totale con i dirigenti. L’allenatore ha rapporti, formali, solo con Rosella Sensi. Con gli altri, Conti, Montali e Pradè, siamo da tempo al buongiorno e buonasera. Solo colloqui sul vago e quindi inutili. Spesso in contrasto anche su quanto va detto ufficialmente, i casi Pizarro e Adriano sono solo gli ultimi di una lunga serie. L’attacco frontale a Pradè sul mercato di gennaio e sulla Roma «senza una lira e quindi non forte come le rivali in quanto a organico».

8) Eccesso di presunzione. Ranieri non sbaglia mai. Preferisce scaricare le colpe su altri. Spesso, dopo una sconfitta, ha gonfiato il petto, perseverando anche a parole: «Lo rifarei». E’ successo quando ha inserito Totti nel recupero della gara persa con la Sampdoria a Marassi e dopo il pari casalingo con il Brescia utilizzando il tridente pesante. «Un esperimento inedito» lo definì a fine gara, scordandosi di averlo utilizzato a Parma e contro il Lecce.

9) Il paravento del contratto sparito. Ranieri avrebbe voluto firmare un triennale, in estate, da 3 milioni netti a stagione. I risultati scadenti di inizio campionato, 5 punti nelle prime 6 partite, portarono la Sensi a prendere tempo. Offeso dal trattamento ricevuto (non ci sono più stati approcci sulla questione), ha scelto di isolarsi. «Prova tu a lavorare senza contratto» disse qualche settimana fa a Montali. Sbagliando interlocutore. Pure l’Ottimizzatore non ce l’ha. Sul contratto, tra l’altro,cambia idea in ogni conferenza stampa, passando dal «non mi interessa» a «priorità alla Roma». Poi, per interposta persona, fa sapere che per un anno non firmerebbe.

10) L’alibi di non sentirsi protetto. Ranieri si sente abbandonato a se stesso e vive poco Trigoria. Cerca un nemico e se non c’è lo inventa: Lippi e la stampa, per avere una giustificazione come a Torino, i giocatori e i dirigenti. Ha una claque esterna e pericolosissima: amici e confidenti, nel mondo dello spettacolo più che dello sport. Loro gli danno sempre ragione e lo mettono su un piedistallo. Ha anche una sponda italiana che ne sponsorizza, in Inghilterra, le cose buone fatte in un ambiente a lui ostile. Troppi consiglieri sbagliati, fuori dalla Roma, sono diventati ultimamente il suo tallone d’Achille.